Road to Beijing: c'era una volta alle olimpiadi (prima parte)...

 
Dal 1936, anno in cui il basket fa la sua apparizione ai Giochi, il torneo olimpico era stato sempre dominato dagli inventori del gioco, gli imbattibili americani, che pure mandavano ai Giochi giovani sbarbatelli presi dalla selezione universitaria, dato che vigeva il divieto di partecipazione per i professionisti dell'nba.
Monaco 1972 fu un'olimpiade indimenticabile, anche e soprattutto per la tragedia che colpì la squadra israeliana, un attacco terroristico sanguinario e inaspettato. Ma fu anche l'Olimpiade del record di Mark Spitz, che conquistò 7 ori in una singola edizione dei giochi (Micheal Phelphs proverà a superarlo quest'anno puntando a 8), e fu soprattutto l'Olimpiade il cui gli USA dovettero cedere lo scettro, e lo dovettero fare proprio contro i rivali più odiati, i nemici sovietici.
I russi avevano una squadra fortissima, che dietro il velo del dilattantismo celava nomi di atleti di assoluto valore, come i due Belov, giocatori esperti e una squadra solida, contro il solito frizzante atletismo giovanile degli americani.
La finale tra le due superpotenze è ancora ricordata come la partita più controversa e contestata della storia. Succede che a 3 secondi dalla fine gli statunitensi si portano sul 50-49 a loro favore grazie a due liberi. Subito il coach russo chiama timeout, ma l'arbitro sbagliando non lo concede e la panchina russa si agita. Il cronometro va colpevolmente avanti fino a segnare un solo secondo rimasto, l'arbitro non fa nulla e con un solo secondo i russi possono solo lanciare da fondocampo e sperare. Ma la speranza non serve, suona la sirena e gli USA festaggiano, esultano, corrono negli spogliatoi, la partita è finita e loro sono di nuovo campioni olimpici.
Anzi, no!
Succede che il presidente della fiba in persona, il britannico William Jones, decide di scavalcare l'autorità dell'arbitro, dei cronometristi e del CIO, e impone la ripetizione di quei tre secondi ingiustamente sottratti ai russi. 
Si va negli spogliatoi a richiamare i giocatori americani, che tornano in campo come spettri. La rimessa dal fondo adesso ha qualche speranza, con tre secondi, ma gli USA ormai non hanno la concentrazione per difendere, ancora increduli per quello che gli sta succedendo. Ma tant'è, lo schema russo è efficace: rimessa, palla a belov sotto camestro e palla nella retina. 50-51!
Adesso sono i russi che festeggiano la medaglia d'oro, e gli americani che protestano, ma non ci saranno ripensamenti, anche il ricorso andrà a vuoto. I sovietici hanno vinto, interrompendo il dominio olimpico firmato USA fatto di 63 gare vinte consecutivamente. In clima di guerra fredda anche questa è una vittoria.
Gli americani si sentono derubati e non si riconoscono nel principio de "l'importante è partecipare": rifiutano di salire sul podio e di accettare le medaglie d'argento. Le medaglie sono tutt'oggi custodite dal Comitato Olimpico Internazionale a Losanna, e gli atleti non hanno nessuna intenzione di andare a prendersele, anzi quelli che sono morti hanno espressamente scritto nel testamento la loro volontà che nemmeno gli eredi andassero a richiederle.
La fine della storia ce la da proprio William Jones: "Gli americani devono imparare a saper perdere, anche quando credono di aver ragione!"
Road to Beijing, stay tuned!

3 commenti:

Anonimo ha detto...
4/8/08 09:36

i soliti ladri comunisti!

Anonimo ha detto...
4/8/08 11:00

Nessun giocatore era rientrato negli spogliatoi, la decisione fu presa in campo e si riprese a giocare quasi subito. Se gli Americani avessero difeso come si deve, avrebbero vinto comunque. Praticamente Belov ha fatto una ricezione da football americano !!!!!!!!

cliente #003 ha detto...
4/8/08 14:24

ladri comunisti mi pare azzardato

la ragione era tutta dalla loro parte, anche se i modi con cui l'hanno ottenuta non sono "consueti"

fatto sta che ora c'è la prova televisiva e quel fatto ha spinto la fiba a creare un moglior servizio di cronometraggio

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